i Colori di Michele
La telefonata fu breve, quando arrivai bastò alzare “il saltarello” della porta in legno per entrare in quel cortile dove il tempo sembrava essersi fermato. Al suo interno, sull’uscio di un’altra porta, Michele mi aspettava per darmi il benvenuto e invitare ad entrare. La stanza era occupata al centro da un grande tavolo invaso di pezzetti di carta colorata e in un angolo c’era una ciotola d’insalata che Michele stava mangiando. Di lui mi aveva parlato Giovanni Brino e l’allora suo assistente Germano Tagliasacchi, che curavano il corso di decorazione alla facoltà di architettura del Politecnico di Torino, corso che stavo seguendo nel mio tragitto di laurea. Fu Germano a suggerirmi l’ipotesi di una tesi sul lavoro che Michele Provinciali aveva sviluppato, con i suoi studenti dell’ISIA di Urbino, sul colore nella zona mare e che aveva titolato “Pesaro Colore”. Michele Provinciali, con Giovanni Brino, facevano parte nel 1979 della sottocommissione 12 dell’U.N.I. (ente nazionale italiano di unificazione) per l’applicazione del “Colore nell’ambiente costruito” e in quest’ ambito si erano conosciuti.
Michele fu entusiasta dell’ipotesi di una tesi di laurea in architettura sul suo lavoro, che fu poi titolato “Pesaro-Colore, contributo ad un progetto di Michele Provinciali”, con l’intendimento di aggiungere qualcosa in più a quanto da lui stesso posto in essere.
In Italia il “Piano del Colore di Torino” diretto da Giovanni Brino e il “Color Terminal” dell’Istituto Vernici Italiano con sede a Milano diretto da Clino Trini Castelli (anche lui dell’U.N.I), furono due momenti importanti per riportare attenzione e ridare il giusto peso all’importanza che deve avere del tema del colore nell’ambiente : il primo in ambito architettonico ed urbanistico, con il recupero della memoria storica e della tradizione dei colori nei materiali costruttivi negli interventi di ristrutturazione e nuova edificazione; il secondo nel più ampio ambito di studio dei materiali e della trasformazione degli stessi in oggetti, tessuti, colori e vernici recuperando la memoria dei colori dalla filosofia alla fisiologia, dalla fisica alla psicologia sino alla percezione ed alla sua dinamica ottica, come bene viene spiegato nel libro “Colore codice e norma” di Narciso Silvestrini , anche lui membro della sottocommissione dell’U.N.I.
E così i lunghi colloqui e i numerosi viaggi in auto con Michele si trasformarono per me in ricche ed intense lezioni di storia e momenti importanti di apprendimento e conoscenza, grazie al suo accattivante ed affabulatorio modo di raccontare, al di là di quanto accaduto, l’essenza di quanto vissuto : Milano prima e la Persia poi, il suo viaggio e la sua esperienza più importante che lo ispirò in ogni lavoro ed alla quale faceva sempre riferimento come nel libro che l’ha raccontata “Iran l’alba della civiltà” edito da Provinciali e Spotorno editori.
Furono gli anni del progetto “Colore per Santarcangelo di Romagna” e della storica conversazione, alla quale fui presente, tra Michele e Tonino Guerra e che finì, come dicono in Romagna, “in cagnara” per la difesa del primo delle proprie teorie grafiche e cromatiche e per la campanilistica e partigiana difesa della libertà espressiva dei santarcangiolesi del secondo.
Seguirono poi lavori come “Colori di nove città” in collaborazione con la AKZO-Sikkens, nell’ambito della XVII Triennale di Milano, e la mostra delle ceramiche realizzate da Franco Bucci, allestita al centro Domus di Milano ed al Museo di Caltagirone in Sicilia.
Come il colore mi unì a Michele per molti anni così il colore finì per allontanarmi da lui per alcuni anni nel corso dei quali posi le basi e lo sviluppo di un “Piano del Colore” per il centro storico della città di Pesaro al quale seguì l’incarico ufficiale da parte dell’amministrazione comunale, con una mostra ed un dibattito nel 1990, progetto ed evento dal quale Michele venne escluso.
Poi un giorno Michele mi chiamò di nuovo al telefono e, come se nulla fosse accaduto (un distacco durato nove anni), mi invitò ad un viaggio a Torino, la mia seconda città, ed io accettai con piacere quella proposta ricominciando, da dove avevo lasciato come nulla fosse accaduto, un rapporto che, oggi mi pento, non avrei mai dovuto interrompere.
I colori che Michele mi ha insegnato ad amare e a conoscere sono i colori della natura per un’architettura che, con la natura e l’ambiente, deve essere in perfetta armonia; sono i colori della percezione visiva e dei meccanismi ottico-percettivi ad essa connessi e sui quali hanno tanto indagato filosofi come Johann Wolfgang von Goethe e Ludwig Wittgenstein; sono i colori della storia e dei materiali storici, con i quali si è costruito dai Greci al Medioevo sino al Rinascimento ed al Novecento; sono i colori della teoria cromatica legata al linguaggio pittorico e grafico, dai quadri degli impressionisti francesi sino a Mondriand e Andy Warhol; sono i colori della nostra natura fisiologica, diversa quella di ognuno di noi da quella degli altri sino al daltonismo.
L’eclettica e vasta visione delle cose, del mondo e degli eventi umani, storici e sociali legati ad un’innata passione umanistica per la lettura, in particolare per la saggistica, oltre che per la fotografia e non ultimo per il cinema, hanno sviluppato in Michele una dote importante : la capacità di vedere oltre il visibile e di coltivare sogni ed utopie per trasmettere ed insegnare ai suoi allievi concetti, atteggiamenti e pensieri nuovi, originali ed unici, basati su di una illuminata e vivace visione della vita, sostituendo in essa la Ragione con quello che lui stesso definì poi, negli ultimi anni, “il Cuore pensante”.